I tuoi diritti

 
L’esperienza ci insegna che gli Istituti accettano difficilmente giustificazioni nel caso di eventi che arrecano loro danno. In tutti i casi possibili si attribuisce al lavoratore la responsabilità dello stesso.

Diventa poi inutile parlare di carichi e ritmi di lavoro eccezionali, di indicazioni verbali non dimostrabili, di buona fede, e ciò anche se spesso qualche responsabile ordina “un’applicazione elastica della normativa” perché fa comodo all’efficienza produttiva aziendale. Ci sembra quindi assurdo che il dipendente conceda al proprio Istituto un credito ed una disponibilità che l’azienda stessa non è disponibile ad accordagli. Del resto siamo pagati per fare i bancari e non i banchieri ed è meglio diffidare anche di chi, bontà sua, crede di esserlo.

Ecco il perché di questo approfondimento sulla responsabilità personale del dipendente; “mettere le cose in chiaro”. Molti sono i casi in cui le banche, a mezzo dei propri servizi ispettivi od altro, intervengono. Tutti questi casi sono temporalmente scollegati dal momento in cui sono successi i fatti e chi contesta gli errori di responsabilità, pur lavorando nella stessa azienda, segue logiche ben diverse da quelle del tempo in cui si è operato. Le uniche regole che valgono sono quelle delle normative vigenti.

Vogliamo sottolineare infine come qui si tratti di caso diverso dalla deficienza di cassa come definita, che è l’unico caso in cui il cassiere deve, per contratto, reintegrare la somma, perché percepisce l’indennità di cassa proprio per questo rischio.
Quando si ha in mano un titolo di credito, tale titolo, seppur impagato, è nelle disponibilità della banca, non si ha deficienza di cassa.

Pertanto, il fatto dell’erogazione dell’indennità di rischio non è titolo sufficiente per esigere il risarcimento del danno. Se il titolo, però, è stato negoziato e/o pagato senza rispettare le disposizioni di servizio (mancata identificazione, irregolarità nel titolo non protestato, mancanza di fondi e protesto, assegni non trasferibili con più girate, assegni rubati, firma di traenza falsa, ecc..) la banca ha titolo sufficiente per poter chiamare il cassiere o chi altro a rispondere patrimonialmente nei suoi confronti.


Segnalazione di operazioni sospette

L’operatore bancario ha come oggetto del proprio lavoro il denaro: è pertanto normale che per ogni operazione raccolta ed eseguita o esaminata, sorgano delle attenzioni e valutazioni circa i volumi o le particolarità dell’operazione stessa.

Questo modo di proporsi nei confronti del denaro ci consente di capire quando un’operazione bancaria presenta caratteristiche anomale rispetto all’attività normalmente svolta dal cliente che ci ha richiesto l’operazione.
Tale atteggiamento critico ci viene richiesto anche dalla magistratura per l’individuazione e quindi la segnalazione agli organi competenti (D.I.A.) di tutte quelle operazioni bancarie che presentano indici di sospetto.
Detti indici di sospetto sono contenuti in un decalogo emanato dalla Banca d’Italia.

In presenza di operazioni considerate sospette viene fatto obbligo ad ogni operatore di segnalare al proprio superiore (di norma il direttore della filiale) detti avvenimenti. A sua volta il superiore deciderà se inoltrare o meno la segnalazione dell’operazione sospetta, ma a quel punto, che lo faccia o meno, l’operatore è sgravato da ogni sua responsabilità (purché sia in grado di dimostrare di aver ottemperato all’incombenza della segnalazione al proprio superiore).


Va ricordato quindi che

  • La responsabilità è personale;
  • Nessun preposto può ostacolare le rilevazioni prescritte senza andare incontro alla denuncia dell’autorità giudiziaria;
  • Già si sono verificati più casi di controlli che hanno visto i colleghi sotto accusa per non aver ottemperato a tali disposizioni, che devono poi rispondere personalmente in giudizio (a proprie spese) dell’accusa di connivenza con associazioni mafiose, camorristiche e simili;
  • L’elasticità tanto richiestaci dall’azienda si scontra in questo caso con la responsabilità personale del singolo lavoratore: la legge non ammette l’ignoranza né, tanto meno, l’inosservanza per cause anche non dipendenti dal singolo (disorganizzazione, pressioni, ecc…).


Il contratto e la legge

Il CCNL così recita: “il lavoratore è responsabile, ai sensi della legge, delle perdite e dei danni dolosamente o colposamente recati all’istituto”. L’articolo 2043 del Codice Civile dice che: “qualunque fatto doloso o colposo, che cagioni ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

Il diritto al risarcimento derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato (art.2045 C.C.). Il comportamento che arreca un danno è fonte di risarcimento ed è anche presupposto per l’applicazione di sanzione disciplinare come previsto dall’art.7 della Legge 300/70 e dal CCNL. Il danno cagionato sarà contestabile dall’azienda solo nel caso sia individuata con chiarezza l’entità e l’imputabilità soggettiva dello stesso.

Nel caso in cui il danno sia determinato da un concorso di diverse responsabilità individuali, l’azienda potrà contestare l’ammontare ai singoli interessati proporzionalmente alla loro presumibile responsabilità.
Nel caso che non si possa identificare la proporzione attribuibile a ciascuno, il danno si considera provocato in parti uguali. Non sempre dunque la determinazione dell’entità e dell’imputabilità del danno è semplice. Per questo la legge non attribuisce all’azienda la potestà di condannare al risarcimento del danno né di “farsi giustizia da sé”.

Solo il Giudice può stabilire l’individuazione e la quantificazione delle responsabilità con una sentenza che, una volta divenuta esecutiva, può dar luogo all’esecuzione forzata. L’azienda può eventualmente applicare una sanzione disciplinare ai sensi dell’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori e del CCNL proporzionata, in ogni caso, alla gravità dell’atto compiuto, a prescindere dell’ammontare del danno.

Per recuperare la somma corrispondente ai danni provocati da un dipendente l’azienda ha due possibilità:

1. Stipulare con l’interessato un concordato stragiudiziale in forma scritta che preveda la trattenuta in busta paga o l’addebito in conto corrente in unica soluzione o in forma rateale (va tenuto presente a questo riguardo che per la natura alimentare della retribuzione una equa trattenuta non può superare la quinta parte dello stipendio: vedasi in proposito l’articolo 545 c.c.);

2. Ricorrere all’autorità giudiziaria per far contestare le responsabilità del dipendente che verrà condannato al risarcimento del danno, di solito (a meno che il danno non sia di lieve entità) in forma rateale; il risarcimento può avvenire mediante trattenuta in busta paga che l’azienda può operare anche senza autorizzazione del dipendente stesso.


In caso di differenza di CASSA

Ricordiamo che la chiara e corretta applicazione delle norme è l’unico sistema per cautelarsi al massimo, dal punto di vista delle responsabilità personali.

Purtroppo però, non esistono molti sistemi per tutelarsi da eventuali errori contabili o materiali nel maneggio valori. L’unico di cui siamo a conoscenza è quello di aderire ad una polizza collettiva “rischi cassa”, che copra deficienze di cassa per contanti o valori, conseguenti a negligenza o errori involontari commessi nell’esercizio dell’attività professionale di cassiere, purché confermate dai prescritti controlli di banca.

Le deficienze di cassa che il dipendente è tenuto a rifondere alla banca sono quelle riscontrabili in sede di chiusura contabile giornaliera e che sono determinate dalla mancanza di contante od altro titolo di credito.

Per tutti i titolari di polizza cassieri la denuncia del sinistro va fatta entro 3 giorni.

L’azienda, in ogni caso, non può agire di iniziativa e una tale prassi, anche se abbastanza diffusa, è giuridicamente scorretta e va respinta anche mediante ricorso del giudice che imporrà alla banca la restituzione di quanto illegalmente recuperato e si pronuncerà sull’ammontare del debito e sulle forme di eventuale risarcimento. 


Consigli pratici

  1. Attenersi alla normativa di servizio esigendo copia delle disposizioni di servizio, e non dare nulla per scontato, anche tra colleghi.

  2. Nel caso di mancato rispetto delle disposizioni di servizio a seguito di pressioni, e quindi, non per propria volontà, effettuare una segnalazione mediante l’organizzazione sindacale.

  3. Astenersi da dichiarazioni verbali e soprattutto scritte (che possono avere valore di confessione) nel caso in cui non si abbiano le idee chiarissime sui fatti avvenuti e sulle disposizioni in merito. Nel caso in cui sia indispensabile fornire chiarimenti richiesti da colleghi, da ispettori o superiori richiedere sempre la presenza di un testimone e non firmare alcun documento per non pregiudicare in alcun modo i propri diritti.

  4. Nel caso di ricezione di lettera con cui la banca contesta al lavoratore un operato difforme dalla normativa esistente e lo invita a rifondere la somma oppure quando l’azienda provvede direttamente al recupero della somma sulla busta paga del dipendente, è consigliabile rivolgersi immediatamente al Rappresentante sindacale per i consigli del caso.

  5. Nel caso di ricezione di lettera in cui la banca effettua una contestazione espressamente ai sensi dell’articolo 7 della legge 20.05.70 n. 300, ricordiamo che l’azienda è tenuta per legge a contestare i fatti in maniera precisa, a dare al lavoratore cinque giorni di tempo per rispondere o chiedere un incontro per spiegare le ragioni a sua difesa. Il lavoratore può richiedere che l’incontro si svolga con la partecipazione di un rappresentante sindacale. Solo successivamente l’azienda può adottare il provvedimento disciplinare.

  6. Nel caso in cui non venga rispettata la prassi prevista, il lavoratore può chiedere all’autorità giudiziaria l’annullamento del provvedimento per vizio di forma. Anche in questo caso è consigliabile sentire immediatamente il rappresentante sindacale. Adire le vie legali nel caso in cui l’azienda abbia contestato i fatti in maniera illegittima e abbia recato al lavoratore un danno economico e morale.